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I costi di sponsorizzazione, ancorché non abbiano apportato un’utilità e/o vantaggio per l’incremento dell’attività imprenditoriale secondo un approccio di tipo quantitativo, sono comunque deducibili dall’impresa sponsor se inerenti alla propria attività, anche solo in via indiretta, in base alla nuova declinazione qualitativa del concetto di inerenza; il tutto, senza che vi osti lo svolgimento degli eventi sponsorizzati all’estero sia per la visibilità internazionale degli stessi sia poiché tale scelta rientra nella libertà di iniziativa economica. Lo ha affermato la Corte di cassazione, sezione V, con l’ordinanza numero 30024 del 26 ottobre del 2021, superando quella concezione oramai risalente dell’inerenza c.d. quantitativa e abbracciando invece la nuova visione.

Con riguardo ai costi di sponsorizzazione, ha rimarcato la Corte, essi «sono deducibili dal reddito di impresa ove risultino inerenti all’attività della stessa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, esclusa ogni valutazione in termini di utilità o vantaggio». Una società, al fine di reclamizzare un marchio di cui era anch’essa titolare, aveva stipulato un contratto di sponsorizzazione affinché venisse esposto in occasione di gare automobilistiche.

A fronte dei costi sostenuti l’Agenzia delle entrate, sulla scorta di una serie di valutazioni, ne contestava la deducibilità per difetto di inerenza ritenendoli in sostanza antieconomici rispetto ai ricavi conseguiti. A seguito di ricorso promosso da parte pubblica, i giudici della Suprema corte hanno sì premesso come l’impugnazione fosse inaMmissibile poiché la ricostruzione fattuale operata dai giudici di seconde cure non era scrutinabile in sede di legittimità, ma ne hanno comunque condiviso il merito.

In particolare, la pronuncia evidenzia che le prestazioni di sponsorizzazione erano state documentate dalla contribuente anche a mezzo di fatture e fotografie; che i costi erano inerenti alla sua attività imprenditoriale anche in virtù degli «importanti elementi di visibilità» di cui avrebbe goduto ex contractu; che la diminuzione del fatturato evidenziata era invece dovuta alla notoria crisi economica; e che, non da ultimo, la tenuta delle gare all’estero non incideva rientrando tale scelta nella libera iniziativa economica e comunque risultando potenzialmente vantaggiosa in termini di pubblicità indiretta.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte di cassazione ha dichiarato l’illegittimità della contestazione erariale, con un’importante condanna alle spese di giudizio.